Non certo una caduta di qualità dei libri da me recensiti, ma quel testo capace di mettere alla prova il mio animo, divenendo la mia spina nel fianco.

E’ capitato e ironia della sorte ne sono estremamente felice.

Perché se l’anima di un blogger non vibra più, non sente l’emozione ne il fiato sul collo del volume che sta recensendo o leggendo, significa che la sua anima è inaridita, le sue orecchie otturate e ha dato tutto ciò che poteva dare.

Allora è il caso di fare un inchino, sorridere e volere via.

Perché la magia si è interrotta.

Invece, faticare per una recensione significa emozione, sensazione, adrenalina e voglia di scoprire ancora, di sollevarle le pagine e scrutare oltre le parole alla ricerca del senso che sfugge.

E cosi come un segugio, scodinzolante tra l’altro, sono andata a scontrarmi con Victorian Solstice.

Totalmente irriverente, totalmente scomodo, totalmente refrattario alla mie aspettative, tanto da sbeffeggiarle con quel cipiglio cosi fastidioso.

Arrivi ma non mi prendi” diceva.

E io a inseguirlo con più tenacia che mai.

E poi oggi, mentre scrivo, una giornata di splendido sole, cosi totalmente differente dal contenuto scabroso e inquietante al limite della blasfemia, del testo.

Un testo capace di scioccare, capace di prenderti la testa e costringerti a vedere le verità che neghi.

Che sfuggi perché sono orrende, sono troppo per chi alla bellezza ci crede fermamente, quasi come un appiglio per non affondare nella melma.

Perché per quanto una come me al fango sfugga, sfugga alle fogne che sono nascoste sotto il nostro perfetto mondo civile, le avverto.

Il loro fetore si confonde con quegli odori primaverili, con quelle sognanti immagini di vacanza, di lune incantate, di mari tempestosi, di odori afrodisiaci di legno bruciato.

Dietro esiste la porta oscura, in ogni città, in ogni anfratto apparentemente dipinto con rose dall’effluvio soave.

Occhieggia, ride beffardo, sa che finché non verrà evidenziato, ILLUMINATO prospererà nel buio.

E cos’è direte mai, questo orrendo mostro?

Non è un mostro.

Siamo noi.

E’ la nostra bestialità, l’altra parte dell’umanità che invade con quell’odore di marcio ogni epoca e ogni apparenza di progresso.

Lo vediamo oggi, più che mai.

E lo abbiamo osservato sia come esterni, sia grazie ai meraviglioso autori come Dickens nel periodo vittoriano.

Ma procediamo con ordine.

L’agghiacciante dato.

Quello che stona e che ha fatto arricciare adorabili nasini alla francese, non è stato tanto quell’oscuro fetore dietro le belle strade di Londra.

E’ stato il voler descrivere con tratti sognanti, estremamente stridenti con il senso del testo, un amore proibito.

Anzi, ancora peggio, il rapporto perverso tra due uomini.

Ecco su cosa ci soffermiamo.

E’ troppo andare oltre vero?

Accettare che quel vittorianesimo descritto dalle due autrici, sia lo specchio del nostro tempo, è troppo per noi.

Meglio elevarsi a moralizzatori e far tornare la minaccia nei comodi binari del perbenismo borghese.

Sapete come chiamo il nostro post moderno?

Neo vittorianesimo.

E sapete perché?

Perché al pari di quel periodo che, in fondo, non posso non amare proprio perché mi mette di fronte ai miei limiti, abbiamo raggiunto la luna, livelli tecnologici alti, ma perduto noi stessi.

Perduto l’incanto della poesia, della magia del sogno.

Abbiamo diviso il mondo in perbene e in deviato.

E forse siamo ancora più ipocriti di loro, che alla fine mostravano fieri la loro pruderie.

Noi fingiamo di accettar il diverso.

Salvo che il diverso non si mostri.

E’ l’animale da palcoscenico per i talk show o per i reality, o i programmi trash.

Se però si parla di diritti, beh ripiombiamo alla Londra di Victorian Solstice.

Il disagio di amare che provano Shemaldine e Jonas.

Sentirsi colpevoli perché non si riesce ad adempiere alle prospettive della società perbene.

Cosi perbene che dietro la Londra, icona splendente e perla del sommo impero britaninco, esistono luoghi di perdizione, residenza non di oscuri istinti, ma degli invisibili.

Sottoterra brulica l’umanità malata, quella senza diritti, storpia e inaccettabile per il decoro.

Perché questa mancanza, questo handicap non giovava alla gloria della regina Vittoria.

Dietro le meravigliose perfette notti del debutto, si compiono i più efferati delitti ai danni di quella riserva di carne che è adibita alla soddisfazione dei bisogni più turpi.

Della perfetta società borghese.

Della nobiltà piena di boria, del clero probo e devoto.

La notte è per i perduti, la notte è per le aberrazioni compiute contro chi, uno status umano, non ce l’ha più.

Anzi forse non è mai stato investito del termine persona.

E’ White Chapel, luogo di orrore.

Sono i Docks luogo di perdizione.

E dove lo sguardo non vuole arrivare, perché arrivarci significherebbe sancire una verità occultata: Londra è una società morta.

L’Inghilterra vittoriana, nonostante la meraviglia del Tower Bridge, superba opera ingegneristica, è degrado.

E’ il ricco che balla come un morto vivente cibandosi del cadavere putrescente del povero.

E’ l’abominio peggiore computo nel silenzio complice.

E’ il sesso venduto per due penny.

E’ il nome che ti garantisce l’immunità.

E’ la società vittoriana che decade pagina per pagina, mostrando la sua vera facciata: la morte sociale.

Amo il vittoriano proprio per questo.

No, non sono una gotica dark.

Semplicemente ho ancora un grammo di coscienza per rendermi conto che, solo dal passato, posso capire il mio presente.

E quella Londra non è altro che specchio della mia Roma.

Di New York.

Di Ogni città europea.

Di ogni parte del mondo.

E’ Buenos Aires che dietro al grattacielo nasconde la favelas.

E’ la favola di Dubai, meta di tanti vip, che nasconde occhi affamati. Siamo noi che per poter vivere nel lusso calpestiamo cadaveri.

Non a caso, mentre scrivo ascolto The Mask and Mirror di Lorena Mckennit.

La maschera e lo specchio.

Mai canzone fu più adatta a descrivere un libro.

La maschera che Jonas, Shemaldine, Davies portano davanti al mondo. Lo specchio, che fa vedere con brutalità il vero volto.

Un demone ghignante vestito di tutto punto, che cena con brodo di tartaruga al Cavour.

Un cadavere che cade pezzo per pezzo è quello che ci mostra lo specchio se gli chiediamo com’è la nostra società attuale?

Shemaldine e Jonas non sono solo gli eroi di una fasulla icona Gay.

Sono molto di più.

Uno è il prodotto del dolore e della perdizione, vittima di carnefici che hanno bisogno della Maddalena da redimere o del Giuda da impiccare.

Dell’invertito e del trasgressore.

Perché a loro, quando li seviziano non li cerca nessuno.

E da quel baratro ne esci distrutto, ferito, lacerato.

La tua coscienza non si fa più udire.

Non la vedi più.

Non sai se lasciarti andare, usare, distruggere o continuare a lottare.

Se non ti difende chi ti accoglie, se lo stato volta dall’altra parte e fornisce sempre vittime, che senso ha lottare?

Ma io credo fermamente che l’amore sia l’unica chiave.

E lo credono anche le autrici, perché dietro la crudezza, fa capolino la magia di un abbraccio, quella lacrima di purezza da cui Shemaldine si abbevera.

E allora Jonas diviene simbolo di tutto ciò che di bello l’essere umano ha.

Quella forza di guardare l’abisso ma impedirgli di nutrirsi di te.

E ecco che lo schiaffo che lascia ferite sanguinanti in faccia, quello che ti sveglia e che ti fa urlare, diviene speranza e forte convinzione, che in fondo la banale frase l’amore salva, è la nostra unica arma di difesa contro il putridume.

Questi sono i giorni dell’estate senza fine

Questi sono i giorni, il momento è adesso 

Non c’è passato, c’è solo futuro 

C’è solo un qui, c’è solo un adesso

Oh il tuo volto sorridente, la tua presenza graziosa 

I fuochi della primavera si stanno accendendo luminosi 

Oh il cuore raggiante e la canzone di gloria 

Invocano libertà nella notte

Questi sono i giorni dati dal fiume frizzante 

Dalla sua tempestiva grazia e dalla nostra preziosa scoperta 

Questo è l’amore di quel mago 

che tramutò l’acqua in vino

Questi sono i giorni di una danza senza fine 

e delle lunghe passeggiate nelle notti d’estate 

Questi sono i giorni del vero corteggiamento 

Quando ti tengo oh, così stretta

Questi sono i giorni ora che dobbiamo assaporare 

E dobbiamo goderceli più che possiamo 

Questi sono i giorni che dureranno per sempre 

Devi tenerli nel tuo cuore.

Van Morrison