Twelve Days of Christmas: on the 12th day of Christmas

Twelve Days of Christmas: on the 12th day of Christmas

twelve12

Mr Honeybunny, il Maggiordomo di Belial & Lancelot Mercyful

Mercyful & Sons Butcher shop, Londra

1887

 

12

Piccolo uomo, con piccoli piedi e piccole mani.

Di fronte alla porta della macelleria, si aggiustava la maschera sulla maschera. Servo-che-soffoca-giudizi su uomo-che-non-è-una-donna. No. Honeybunny è, era, sarà. Un maggiordomo fedele. Un uomo completo. Una grossissima bugia ambulante.

Toccare la maniglia non gli avrebbe sporcato i guanti. O almeno non si sarebbe notato. Perché li aveva indossati neri. I bianchi da maggiordomo mal si accompagnavano alla macelleria. La sua coscienza, pure.

Honeybunny spinse l’uscio e l’uscio scampanellò il suo arrivo. Era tutto così gelido, con la pietra bianca che rivestiva il bancone e il pavimento. S’indovinava sozzura marroncina nelle fughe delle piastrelle sul muro. Tutto sapeva di metallo.

“Buon mattino, giovane Lancelot” disse il Maggiordomo evitando di guardare il ragazzo angoloso che si studiava assorto il palmo della mano .

“Mi hanno detto che venivi” Lancelot percorreva la linea della vita della mano sinistra con l’indice della mano destra. Trovato un punto di suo gradimento, spinse. Il palmo prese a sanguinare. Spinse ancora, piegando la faccia in un sorriso doloroso. Dal palmo uscì un ago da imbastitura, con la capocchia piatta come quella di un chiodo. Honeybunny continuò a non guardare.

“Sono venuto ad informare tuo padre che c’è stato un contrattempo. Il cliente di cui sapeva non è più interessato all’acquisto”

“Mi hanno detto che venivi. Hanno detto anche questo, che non volevi più il bambino”

Honeybunny nascose un moto di fastidio: Lancelot il veggente. Lancelot il visionario. Lancelot che sa tutto. O finge di sapere tutto. Che parla con la gente che abita dentro ai suoi stessi occhi di vetro e latte.

“E’ stato doloroso?” chiese Lancelot, osservando la punta dell’ago che gli era uscito dalla mano.

“Non so di cosa tu stia parlando. Per favore, dì a tuo padre che verrà pagato ugualmente, ma l’articolo non ci serve più. Lo ringraziamo per la pazienza con cui ha aspettato un nostro cenno…”

“Morire in quel modo. Venire fatto a pezzi. La mano, per prima cosa. Con cui ha chiuso la scatola. Gli si è staccata di netto. Mi chiedo se abbia sentito dolore”

Honeybunny si concentrò sul suo compito, non sullo straparlare del figlio maggiore dei Mercyful. Era convinto che quel ragazzo non fosse affatto pazzo. Che lo facesse apposta ad inventarsi tutte quelle storie, solo per metterlo a disagio. Che quelle cose senza senso le dicesse solo per divertirsi alle sue spalle.

“Sii gentile, giovane Lancelot” tirò fuori un portamonete di pelle dalla tasca interna della redingote: “consegna questo denaro a tuo padre, insieme alle nostre più sentite scuse. E’ inclusa la cifra del mantenimento dell’articolo negli ultimi tredici giorni”

Lancelot si portò il palmo alle labbra. Succhiò il sangue. Quando gli sorrise, Honeybunny s’accorse del rosso che gli macchiava i denti: “Sai, non abbiamo mai tenuto tanto un bambino con noi. Siamo diventati amici, ormai. Dice che si chiama Ansel e la sua mamma ha dei cavalli. Ora ci toccherà smaltirlo.”

Honeybunny tese il braccio e porse il denaro. Non c’era niente che desiderasse di più al mondo che pagare il servizio al suo padrone ed andarsene da lì. Voleva andarsene prima che Lancelot dicesse altro. Non voleva spiegazioni sullo smaltimento. Voleva uscire di lì. Non voleva sapere il nome di quel bambino. Prioprio no.

“Lancelot, dai questi soldi a tuo padre, sii gentile.”

“Non posso toccare i soldi. I soldi sono sporchi.”

“Allora chiama qualcuno che li possa toccare, ti prego” mosse un passo oltre Lancelot e chiamò: “Signor Mercyful? Ci siete?” la sua voce finto baritonale s’incrinò nel falsetto di donna. Stava perdendo il controllo. Colpa di Lancelot, come sempre. ”C’è nessuno qui dentro, oggi?”

(Vittoria Corella)

 

On the twelfth day of Christmas

my true love sent to me:

12 Drummers Drumming

11 Pipers Piping

10 Lords a Leaping

9 Ladies Dancing

8 Maids a Milking

7 Swans a Swimming

6 Geese a Laying

5 Golden Rings

4 Calling Birds

3 French Hens

2 Turtle Doves

and a Partridge in a Pear Tree

 

 

Twelve Days of Christmas: on the 11th day of Christmas

Twelve Days of Christmas: on the 11th day of Christmas

twelve11

Noel Cadogan, terzogenito del Vecchio Drago & Eldred Grosvenor, suo blasonato commilitone

Westminster Abbey, Londra

1887

 

 

11

L’Equazione era: esemplare di sesso maschile (più che piacente o, a detta delle signore, Che bell’uomo!) sommato a militare graduato, elevato a potenza da un Blasone confezionato su misura da un padre ambizioso per un figlio ahinoi privo di ambizioni.

E il risultato era Noel Cadogan, che amava indugiare nelle sfumature del cuore quanto un gatto amava sedere sotto la pioggia.

D’altronde, tra i molti lussi di Cadogan Hall, l’unico non concesso ai suoi abitanti era l’avere dei sentimenti. Lord Henry – più che un uomo, un busto di marmo – aveva sempre guardato con disprezzo alle manifestazioni pratiche di anima. Secondo quest’ottica, Milord il Quarto Conte aveva confezionato suo malgrado un primogenito che non dimostrava sentimenti, un secondogenito che li dimostrava anche troppo e un terzogenito a cui non importava un fico secco della questione ‘pene d’amore perdute’.

O quasi.

Noel si guardò intorno. Meno male che la giornata era orribile e nessuno bighellonava fuori dall’Abbazia, concedendo ai due uomini un po’ di tranquillità. Intanto un fuciliere ubriaco non era una scena né edificante, né rassicurante. E poi questa storia del cuore spezzato! Non erano discorsi da soldato e da uomo. O da inglese.

“L’Amore è una roba da damigelle, Grosvenor. Quante volte te l’ho spiegato? Forse questo amico tuo non ha avuto la fortuna che hai avuto tu, ad avere uno come me che gli ha insegnato che certi piagnistei li deve lasciare alle sguattere. E’ uno coi tuoi gusti?”

Noel Cadogan di Eldred Grosvenor conosceva tutto. Anche quella cosa. E cioè che al Tenente, beh, non piacevano le donne, mettiamola così. Ci aveva provato Noel ha riportarlo sulla retta via. Nottate nel West End, con file di belle figliole compiacenti che guardavano i due militari biondi e belli e credevano di aver vinto alla lotteria. Pellegrinaggi nei bordelli migliori, annaffiati di champagne e affumicati d’oppio. Ma Eldred persisteva nella sua follia.

“Che diavolo ci trovi nei maschi, Grosvenor?”

“E voi, Cadogan, che diavolo ci trovate nelle femmine?”

“Tanto per cominciare, non hanno la barba.”

“Ah, non è del tutto spiacevole, in verità. E poi un uomo sa come maneggiare un uccello con grazia. Ha più esperienza!”

“Buon Dio, Grosvenor!”

E via così.

Eldred era una specie di fratellino, con un po’ di figlio dentro e molto di migliore amico. Noel non riusciva neppure ad immaginarsi di fare bisboccia senza di lui. E, benché non lo avrebbe ammesso mai con nessuno, gli voleva anche bene. E a volte aveva paura che la sua condotta scellerata lo facesse finire male, magari addirittura in prigione.

Che Dio non voglia: Eldred ai lavori forzati. Noel detestava anche il solo pensiero.

 

(Vittoria Corella)

 

On the 11th day of Christmas

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Twelve Days of Christmas: on the 10th day of Christmas

Twelve Days of Christmas: on the 10th day of Christmas

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Gordon Cadogan & George Cadogan, il Drago

Londra

1887

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Gordon aveva indossato la sua uniforme da Colonnello.

Lo aveva fatto perchè sapeva che sua fratello avrebbe apprezzato un tentativo di legalizzare la sua presenza, e con essa la sua stessa esistenza, agli occhi dell’High Society. Ma lo aveva fatto soprattutto perchè sapeva che a Beatrix piaceva vederlo vestito così. Era stato solo un istante, quando la donna si era recata in cima alle scale per salutarli tutti, prima che si avviassero. Era stata lei a insistere per alzarsi, George si era opposto, naturalmente, ma alla fine Bea l’aveva spuntata. Avvolta nella camicia da notte, nella voluminosa vestaglia e nello scialle, sembrava una bambina sorpresa mentre vagava per le sale di un vecchio castello, in una notte senza fine.

La pena che gli attanagliava il petto da giorni, da quando si era sentita male durante il ricevimento, gli aveva strappato il respiro. Non poteva tollerare di vederla così pallida, così debole, una ballerina di filigrana in procinto di spezzarsi. Come poteva sopportarlo suo fratello?

“La devi mandare via. Non può affrontare l’inverno inglese, George”.

Da quanto tempo Gordon Cadogan non aveva osato sfidare apertamente suo fratello maggiore? Da quanto non osava esprimere un suo parere, una sua volontà che coinvolgesse anche qualcun altro, oltre a se stesso? Perché finché si era trattato di sè era stato più facile. Decidere di ripartire per l’Africa, di restare lontano per mesi, per anni, era stata una scelta solo sua, una faccenda tra sè e il suo egoismo, la sua viltà.

Ma ora era diverso, ora Gordon aveva deciso che doveva essere diverso.

“Dove dovrei mandarla, Gordon?”

Il volto di suo fratello era una maschera di pietra e pioggia, un’ombra chiara nella stanza in penombra. Nemmeno il fuoco che ruggiva nel camino sembrava in grado di sciogliere quella maschera da sfinge, di svelare cosa si celasse dietro l’apparente, imperturbabile padronanza di sè che indossava così dannatamente bene. Perfino ora che sua moglie stava male. Gordon avrebbe voluto colpirlo, avrebbe voluto ferirlo abbastanza profondamente da vedere se anche lui aveva sangue nelle vene, e non solo pioggia inglese, ma era suo fratello, lo amava, e in fondo la rabbia che provava era solo paura, solo debolezza.

“Forse suggerisci di mandarla in Africa, Gordon? Ti faresti tu carico di accompagnarla, immagino…”

Era stato George a colpirlo, alla fine, poche parole scelte con accuratezza, scandite, letali, accompagnate da quello sguardo che esigeva tutto senza chiedere nulla, che pretendeva una resa immediata, assoluta.

Gordon si era sentito assolutamente inerme, vinto, messo al muro come il traditore che era, e per un attimo aveva desiderato che suo fratello sferrasse il colpo mortale, che ponesse fine alle sue sofferenze e alla sua vergogna una volta per tutte.

Ma George non l’aveva fatto, lo aveva lasciato solo ancora una volta a fronteggiare la propria impotenza, la propria ignavia.

O forse no? Forse era una possibilità quella che gli aveva offerto suo fratello, l’opportunità di essere finalmente un uomo? Gordon stava riflettendo su quell’eventualità, ci stava riflettendo seriamente. In fondo, cosa poteva perdere? Lui e Beatrix avrebbero potuto meritare quella felicità che troppo a lungo si erano negati, che lui aveva preteso di negare entrambi.

L’avrebbe portata in Africa, l’avrebbe vista rifiorire, finalmente, fuori da quella serra fredda che troppo a lungo l’aveva imprigionata. Sarebbe stata bene. Sarebbe stata felice. Sarebbe stata sua.

Una voce scaturì da qualche parte infondo alla navata, e fu come se un angelo avesse disteso le sue ali su tutti loro. Il silenzio cadde così improvviso che Gordon Cadogan temette per un istante che i suoi pensieri proibiti potessero risuonare assordanti, svelati a tutti. Ma l’incanto della musica e di quella voce misteriosa aveva già rapito l’attenzione di tutti, e Gordon poteva riporre in fondo al cuore i propri segreti, senza spezzarli.

 

(Federica Soprani)

 

On the t10th day of Christmas

my true love sent to me:

10 Lords a Leaping

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and a Partridge in a Pear Tree

Twelve Days of Christmas: on the 9th day of Christmas

Twelve Days of Christmas: on the 9th day of Christmas

twelve9Briar Krane, impresario del Drury & Valentina Casanova, assistente del Mago Safire

Drury Lane Theatre, Londra

1887

 

9

Nell’angolo più nero delle quinte, nella pancia del mostro di funi, carrucole, sacchetti di sabbia e fondali bucolici, c’era un fiore. Corolla rosso brillante. Tre giri di petali di organza, Uno di seta e uno di tulle. Ogni petalo era bordato da bottoncini di madreperla a forma di rosa ed era trapuntato di sequin color ciliegia, come tante goccioline di sangue su punture di spillo.

Briar Krane si corrucciò un poco, perché i fiori non crescono nella pancia del Drury.

I fiori non piangono.

“Mademoiselle Casanova?” chiamò, certo che fosse lei, più per il profumo di rosa damascena, che per l’averla riconosciuta. Da una settimana il Drury profumava di rose e polvere pirica. Era l’odore della pelle di bambola della Signorina Casanova, col potere di evocare la notte di Tangeri nel bel mezzo del grigio fumo di una Londra fin troppo triste.

Mademoiselle Casanova sollevò il capo. Dava le spalle all’impresario e lui la vide raddrizzarsi tutta, piccola schiena con piccoli muscoli e disegni d’hennè e argento in riccioli e arabeschi. Testa bionda, boccoli perfetti su collo un tantino troppo lungo e troppo sottile.

“Mademoiselle? Vi siete persa?” glissò Briar, che aveva suo malgrado l’orecchio allenato per le lacrime nascoste: “Permettete che vi accompagni di sopra. Mancano dieci minuti al sipario…”

“Conosco la strada. Non mi perdo mai nei teatri….sono tutti uguali. Il vostro non fa differenza”

Briar abbozzò un sorriso alla nuca di Valentina: “Avete ragione. Ma è così buio qui, lasciate che vi faccia strada…”

“Non serve, mercì

Briar si strinse nelle spalle. Ma qualcosa stonava nel Terrore di tutti i Servi di scena e tutte le Modiste. Qualcosa in Valentina Casanova era terribilmente sbagliato.

“Miss Casanova… perdonate, ma voi stavate piangendo?”

Valentina inspirò. Si girò. Occhi enormi e blu, cerchi neri di kajal: “No”

Gli si avvicinò:”Fatemi strada, dunque, visto che ci tenete” e gli porse la mano. Briar la prese con delicatezza e le mostrò la via: “Di qua, prego”.

Scavalcarono rotoli di gomene degni di un veliero, scatole di carta mezze schiacciate, cestini e rotoli di tela: sembrava un bazar nella mente di un genio confuso.

“A volte girare così tanto il mondo ti fa sentire solo…” azzardò Krane, con la mente ai suoi molti anni perso per Europa e Asia: “Posso capire come vi sentite. Non c’è da vergognarsi…”

Valentina non disse nulla. Riemersero gradualmente alla luce artificiale, ma era ancora buio: “Signor Krane, siete innamorato?”

Krane la guardò incuriosito: “Io? Io….suppongo di sì”

Valentina si fermò per fissarlo negli occhi: “Non durerà. Signor Krane. Finisce. Anche in questo momento. Sta già finendo. E non ci si può fare nulla. Si può piangere un po’. Ci si può lamentare. Ma poi la persona che ami si allontana. Magari perché il tempo a tua disposizione è finito. Magari perché c’è qualcun altro che ha preso il tuo posto…”

L’impresario del Drury aggrottò le sopracciglia: “Non è sempre così…”

Valentina fece il suo bel sorriso: “Oh, sì. Proverete tanta rabbia. L’Odio vi farà marcire dentro. Vi trasformerete in qualcosa di nuovo. O di molto vecchio”.

Qualcuno chiamò:”Cinque minuti! Chi è di scena!”

Valentina prese il viso di Briar fra le mani, si alzò sulle punte e lo baciò sulle labbra. Poi lo lasciò lì, con la bocca macchiata di rossetto, a fissarle gli arabeschi d’argento disegnati sulla schiena che si allontanavano verso la luce.

Twelve Days of Christmas: on the 8th day of Christmas

Twelve Days of Christmas: on the 8th day of Christmas

 

twelve8

William Gerald Cadogan, nipote del Drago &

Manfred Von Richtofen, futuro Barone Rosso

Ambasciata tedesca a Londra

1913

8

“William, sono quasi sicuro che NON dovremmo essere qui!”

William Cadogan liquidò l’ennesima protesta dell’amico con una scrollata di spalle. Poi afferrò con un gesto elegante un flute di champagne che lievitava nell’aria insieme a una selva di suoi fratelli dorati, sostenuti da un cameriere lieve come un refolo di vento. Ingollò il liquido spumeggiante in un’unica sorsata. “E smettila di bere!!” aggiunse Andrea Werner, in un sibilo.

“Buon Dio, ti vuoi calmare?” rispose William senza darsi pena di parlare a bassa voce. “Ho il sacrosanto diritto di essere qui, mio cugino di terza è il fottuto ambasciatore.”

Andreas valutò brevemente gli occhi spiritati dell’amico. Sarebbe stato confortante potersi illudere che le sue parole fossero dovute a un grado di ebbrezza già troppo elevato per l’orario, ma purtroppo era molto più probabile che William fosse ancora pericolosamente lucido.

Si tirò indietro i capelli biondi con un gesto nervoso, scoprendo di avere la fronte spiacevolmente sudata.

“Bevi lo champagne, mantieni l’atteggiamento di uno che abbia un palo nel culo, e tutto andrà bene” suggerì William protendendosi verso di lui e mettendogli un flute in mano.

“Sono anche quasi sicuro che tuo cugino di terza NON approverebbe…” commentò, ormai vinto. Bevve lo champagne cercando di darsi coraggio.

William sembrava perfettamente a proprio agio. Non che fosse una novità. Era un demonio a imbucarsi alle feste, fin dai tempi di Eton. Ma un ricevimento all’Ambasciata inglese a Berlino non era esattamente paragonabile a un afternon tea!! Eppure eccolo lì, con i capelli impomatati, neri e lucidi come giaietto, il frac che lo faceva apparire ancora più snello e irrequieto, come un giovane puledro ansioso di prendere a calci il mondo.

“Non mi piacciono le donne tedesche” stava osservando, la bocca atteggiata a una smorfia. Ne faceva parecchie di smorfie, William Cadogan, il suo volto era straordinariamente mobile. Ma sapeva anche apparire inespressivo, immobile, una maschera senza anima. Andreas non sapeva cosa fosse peggio.

“Quella non è male” si corresse poi, adocchiando una fanciulla intenta a discorrere con un ufficiale che indossava l’uniforme azzurra degli Ulani. Era bionda e esile, con guance naturalmente rosee e grandi occhi brillanti che la facevano apparire come una creatura fatata.

“Non fissarla così, attirerai l’attenzione” lo ammonì Andreas.

“E’esattamente quello che spero di fare” lo informò l’altro, sbuffando una risata.

La sua speranza venne esaudita immediatamente. Non solo la ragazza parve notarli, ma anche il suo accompagnatore, che fino ad allora aveva dato loro le spalle, si voltò a guardarli.

Fu con crescente angoscia da parte di Andreas che quest’ultimo prese commiato dalla ragazza per raggiungerli. Era giovane, poco più che un ragazzo, sebbene l’uniforme di gala e l’andamento fiero lo facessero apparire un uomo fatto. Sfoggiava i gradi di Sottotenente e i suoi capelli, alla luce dei lampadari, erano così chiari da sembrare bianchi.

Giunto davanti ai due gentiluomini chinò appena il capo. Nessuno dei due indossava l’uniforme, segno che non meritavano il saluto militare.

“Buonasera, signori” Il tono non tradiva acredine, nè cordialità. Era spiacevolmente atono, constatò Andres.”Sottotenente Manfred Von Richthofen del 1º Reggimento ‘Imperatore Alessandro III’. E voi siete?”

“Barone Andreas Werner, e questi è…”

“William Cadogan, Visconte Chelsea” intervenne William, rivolgendo all’ufficiale un sorriso affilato come un bisturi. Dava l’impressione di volerlo sezionare con gli occhi.

Von Richtofen non ne parve punto impressionato.

“Parente dell’Ambasciatore, immagino” puntualizzò. Parlava in un inglese solo un poco claudicante, dando evidentemente per scontato che l’altro non lo avrebbe compreso altrimenti. Di fatto era così.

“Stavate apprezzando le belezze locali, Visconte?” si informò, senza apparente intenzione.

“Invero sì” rispose William, prima che Andreas facesse in tempo a prevenirlo. “Il vostro paese cela insperati tesori. Oltre a quelli evidenti a tutti” aggiunse subito.

“I tesori preziosi vanno custoditi, protetti da sguardi indiscreti” assentì il Von Richthofen, allacciando le mani dietro la schiena e spingendo il petto in fuori. L’uniforme fasciava la figura slanciata facendolo apparire come un figurino su un libro illustrato.

“Purché si dia loro la possibilità di appagare la vista dei poveri mortali, di quando in quando” lo corresse William, con condiscendenza. “Nessun opera d’arte tra alcun vantaggio dal languire nel grembo buio e sterile di un dannato museo. La bellezza è fatta per essere goduta.”

Avrebbe potuto essere un’affermazione filosofica fine a se stessa, ma l’espressione dell’inglese si prestava a una gamma infinita di interpretazioni, alcune delle quali a dir poco scabrose. E tuttavia nulla che potesse dirsi apertamente offensivo.

“Un pensiero interessante, Visconte” concesse Von Richthofen, sciogliendo le mani da dietro la schiena. “Solo, fintanto che vi tratterrete nel mio paese – sottolineo quelle ultime parole con palese orgoglio – vi invito alla prudenza. Noi tedeschi non amiamo chi penetra nei nostri musei e ruba le nostre opere d’arte.”

Ciò detto prese commiato, con un rigido cenno del capo, e tornò alla sua dama.

“Odio quell’espressione, William Cadogan” mormorò Andreas Werner, gli occhi ancora fissi sulla schiena dritta del tedesco. “A qualsiasi cosa tu stia pensando cessa immediatamente.”

“Stavo pensando” lo interruppe l’altro, pienamente consapevole che conoscere il suo pensiero non era quello che l’amico richiedeva, “che potrebbe essere oltremodo eccitante approfondire la conoscenza con il Barone Von Richthofen.”

“Pensi di diventare suo amico?” lo canzonò l’altro, acido.

“No. Pensavo più a un duello all’ultimo sangue” rispose William con un sorriso e la stessa leggerezza con cui avrebbe potuto progettare una partita a tennis.

 

(Federica Soprani)

On the 8th day of Christmas

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Twelve Days of Christmas: on the 7th day of Christmas

Twelve Days of Christmas: on the 7th day of Christmas

twelve7

Jericho Marmaduke Shelmardine & Lady Hornfield

Londra

1887

 

7

Jericho Marmaduke Shelmardine registrò l’ingresso di quella simpatica sagoma di Lord Rathbone mentre scolava il terzo flute di champagne. Percepì anche la presenza di Lady Hornfield al proprio fianco, che a sua volta squadrava il Lord e coloro con i quali si accompagnava.

“Eccolo lì, uno degli individui più viscidi e disgustosi al mondo” sentenziò, sollevando il piccolo binocolo in madreperla, che da tempo non lasciava confinato alle serate all’opera, per osservare meglio l’oggetto della sua indagine.

“Credo che intrattenersi con un rospo di palude risulterebbe meno sgradevole che concedere un ballo a quell’omunculo. E l’infelice giovane bellezza che l’accompagna chi è? Aspetta un po’, non è la nipote povera del Duca di Hastings? Quella mezza tedesca cresciuta con l’Hastings un po’matto… Si è fatta una donna ormai, interessante che tenti la fortuna con Rathbone, forse ha ereditato un po’di buon senso dalla parte normale della famiglia…”

Jericho alzò lo sguardo al soffitto, con un sospiro.

Lady Hornfield era più affidabile di un gazzettino quando si trattava di sapere tutto di tutti, ma se qualche volta avesse evitato di esprimere giudizi sarebbe stato un tale sollievo.

“E guarda la figlia di Lovelace… ” La donna richiamò nuovamente la sua attenzione. “Bella è bella, di certo non ha preso dal vecchio August, anche se in gioventù, doveva essere davvero superbo! Non che ora non sia terribilmente affascinante… Però la figlia mi sembra, come dire…comune? Banale, ecco. Sfiorirà presto”

E tacque, aspettando un commentò da parte del Medium.

“Possibile…” le concesse lui, senza fare nulla per dissimulare la propria noia.

“La sua amica invece” continuò Lady Hornfield, proseguendo con la sua meticolosa immagine, “Lei sì che merita. Peccato che sia mezza francese” sospirò con disappunto.

“E quello che parla con loro sembrerebbe proprio il giovane Visconte di Chelsea…ma sarebbe davvero strano se Lord Cadogan avesse permesso al suo primogenito di frequentare la casa di un borghese… Eppure”

Jericho agguantò con grazia e velocità un altro flute di champagne da un vassoio di passaggio.

Lady Hornfield gli elargì un’occhiata eloquente.

“Se dovessi misurare il vostro stato di salute in base all’alcool che assumete, dovrei felicitarmi per le vostre condizioni, signor Shelmardine.”

Il medium sorrise, tirato. La verità era solo che sperava di bere abbastanza da potersi stordire il prima possibile, o non sarebbe riuscito a reggere quella serata. Se Lady Hornfield lo avesse visto in difficoltà, presumibilmente lo avrebbe caricato su una carrozza e rimandato a casa, e, con un po’di fortuna, non lo avrebbe seguito, permettendogli di riposare. Qualsiasi cosa sarebbe stata meglio di restare in quella sala piena di squali travestiti da farfalle. La puzza di morte era insopportabile…

“Vado a vedere il giardino d’inverno” annunciò, e senza aspettare risposta si diresse verso le alte porta a vetri che si aprivano sulla serra costruita nel cuore stesso della casa.

Aveva fatto le cose in grande, il vecchio August, non c’era che dire.

Per un po’Jericho si mosse attaverso il vasto ambiente, tra il fogliame delle piante e il mormorio delle fontane, a cui si mescolava il discreto tappeto sonoro dell’orchestra. Riconobbe molti volti noti, e la maggior parte di essi finse di non vederlo, di non riconoscerlo. Era più comodo così, più facile, si evitava l’imbarazzo, il disagio, da entrambe le parti. Altri gli lanciavano occhiate incuriosite, perfino timorose. Anche quello andava bene, li teneva lontani.

Jericho non sentiva il bisogno di contatto umano, non in quel momento, ne aveva avuto a sufficienza quel pomeriggio col Mago, e ne era stato consumato. La sua pelle ne portava ancora il marchio, sotto la camicia di seta nera, sotto la redingote blu notte, il marchio delle sue mani, della sua bocca, della carne che premeva sulla carne, come a volersi fondere in un’unica materia pulsante. Doveva a lui se era già ubriaco senza aver bevuto neppure tanto. Avrebbe dovuto ringraziare lui se quella notte la febbre lo avrebbe divorato. Ma ne sarebbe valsa comunque la pena, di questo era certo.

 

(Federica Soprani)

On the 7th day of Christmas

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