twelve9Briar Krane, impresario del Drury & Valentina Casanova, assistente del Mago Safire

Drury Lane Theatre, Londra

1887

 

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Nell’angolo più nero delle quinte, nella pancia del mostro di funi, carrucole, sacchetti di sabbia e fondali bucolici, c’era un fiore. Corolla rosso brillante. Tre giri di petali di organza, Uno di seta e uno di tulle. Ogni petalo era bordato da bottoncini di madreperla a forma di rosa ed era trapuntato di sequin color ciliegia, come tante goccioline di sangue su punture di spillo.

Briar Krane si corrucciò un poco, perché i fiori non crescono nella pancia del Drury.

I fiori non piangono.

“Mademoiselle Casanova?” chiamò, certo che fosse lei, più per il profumo di rosa damascena, che per l’averla riconosciuta. Da una settimana il Drury profumava di rose e polvere pirica. Era l’odore della pelle di bambola della Signorina Casanova, col potere di evocare la notte di Tangeri nel bel mezzo del grigio fumo di una Londra fin troppo triste.

Mademoiselle Casanova sollevò il capo. Dava le spalle all’impresario e lui la vide raddrizzarsi tutta, piccola schiena con piccoli muscoli e disegni d’hennè e argento in riccioli e arabeschi. Testa bionda, boccoli perfetti su collo un tantino troppo lungo e troppo sottile.

“Mademoiselle? Vi siete persa?” glissò Briar, che aveva suo malgrado l’orecchio allenato per le lacrime nascoste: “Permettete che vi accompagni di sopra. Mancano dieci minuti al sipario…”

“Conosco la strada. Non mi perdo mai nei teatri….sono tutti uguali. Il vostro non fa differenza”

Briar abbozzò un sorriso alla nuca di Valentina: “Avete ragione. Ma è così buio qui, lasciate che vi faccia strada…”

“Non serve, mercì

Briar si strinse nelle spalle. Ma qualcosa stonava nel Terrore di tutti i Servi di scena e tutte le Modiste. Qualcosa in Valentina Casanova era terribilmente sbagliato.

“Miss Casanova… perdonate, ma voi stavate piangendo?”

Valentina inspirò. Si girò. Occhi enormi e blu, cerchi neri di kajal: “No”

Gli si avvicinò:”Fatemi strada, dunque, visto che ci tenete” e gli porse la mano. Briar la prese con delicatezza e le mostrò la via: “Di qua, prego”.

Scavalcarono rotoli di gomene degni di un veliero, scatole di carta mezze schiacciate, cestini e rotoli di tela: sembrava un bazar nella mente di un genio confuso.

“A volte girare così tanto il mondo ti fa sentire solo…” azzardò Krane, con la mente ai suoi molti anni perso per Europa e Asia: “Posso capire come vi sentite. Non c’è da vergognarsi…”

Valentina non disse nulla. Riemersero gradualmente alla luce artificiale, ma era ancora buio: “Signor Krane, siete innamorato?”

Krane la guardò incuriosito: “Io? Io….suppongo di sì”

Valentina si fermò per fissarlo negli occhi: “Non durerà. Signor Krane. Finisce. Anche in questo momento. Sta già finendo. E non ci si può fare nulla. Si può piangere un po’. Ci si può lamentare. Ma poi la persona che ami si allontana. Magari perché il tempo a tua disposizione è finito. Magari perché c’è qualcun altro che ha preso il tuo posto…”

L’impresario del Drury aggrottò le sopracciglia: “Non è sempre così…”

Valentina fece il suo bel sorriso: “Oh, sì. Proverete tanta rabbia. L’Odio vi farà marcire dentro. Vi trasformerete in qualcosa di nuovo. O di molto vecchio”.

Qualcuno chiamò:”Cinque minuti! Chi è di scena!”

Valentina prese il viso di Briar fra le mani, si alzò sulle punte e lo baciò sulle labbra. Poi lo lasciò lì, con la bocca macchiata di rossetto, a fissarle gli arabeschi d’argento disegnati sulla schiena che si allontanavano verso la luce.