Lo Spettro di Nebbia

Lo Spettro di Nebbia

Di che sostanza sono fatti i fantasmi? Alcuni non sono che eco dolenti, brandelli di nulla fluttuante  rapiti alle ombre di un vecchio castello. Altri sono rabbia crepitante, odio dirompente, un buio che consuma se stesso in un’eterna notte e brucia tutto ciò che tocca. Altri ancora sono sospiri dolenti, che raccontano di vite non vissute, o di un amore troppo grande e forte perché la morte possa esserne la fine.
Lo Spettro di Nebbia è fatto di acciaio. In molti sono convinti che sotto le pieghe del mantello non vi sia che metallo coperto da metallo, uno scheletro freddo rivestito di cavi lubrificati da pompe oleose, agitato dalla mano di un abile giocattolaio nascosto nell’ombra.
Lo Spettro è un uomo che non c’è, è l’eterno assente. Qualcuno per il quale il posto a tavola è stato lasciato molti anni fa, e da allora è rimasto vuoto, in un’inutile attesa. Non appartiene a nessun luogo, le leggi del tempo degli uomini non lo riguardano. Ma così è giusto che sia, così deve essere.
Il mondo ha un bisogno disperato di eroi, ne ha sempre avuto. Eroi oscuri, com’è oscuro il mondo, figli di un crepuscolo fumoso, che fanno quasi più paura dei criminali che sono chiamati a fermare. Vigilano nella notte, come sentinelle silenti, combattono nelle tenebre senza sapere se meriteranno la luce. Perché qualcuno lo deve fare.
Lo Spettro pattuglia le notti londinesi, veglia sul sonno degli innocenti. La sua maschera è l’incubo dei malvagi, l’ultima speranza di chi ancora crede nella giustizia. Cosa ci sia dietro di essa non ha importanza. Non si può stringere tra le braccia un ideale, imprigionare un’aspirazione assoluta in un legame terreno. Lo Spettro non appartiene a nessuno. Neppure a se stesso.

Lo Spettro era assenza. Assenza di espressione, il volto che scompariva dietro il metallo decorato con spirali e ghirigori, a metà tra il feticcio africano e la ieratica e terribile vacuità delle maschere veneziane. Assenza di gravità, perché, a dispetto dell’altezza e dell’imponenza, si muoveva con leggerezza sconcertante e senza rumore, come le falene che accompagnavano la sua venuta. Si diceva che sotto gli abiti neri indossasse una corazza, o addirittura che il suo corpo fosse fatto d’acciaio. Più di un testimone giurava di averlo visto rialzarsi dopo essere stato crivellato da colpi di pistola, dardi e perfino fendenti di spada, come se niente fosse accaduto. E ciononostante riusciva a volare da un tetto all’altro, scalare le pareti come una lucertola, col solo ausilio delle mani, agile e silenzioso come un refolo di vento.
Assenza di umanità, perché in molti erano convinti che non fosse un uomo, che sotto le pieghe del mantello non vi fosse che metallo coperto da metallo, uno scheletro d’acciaio rivestito di cavi lubrificati da pompe oleose, agitato dalla mano di un abile giocattolaio nascosto nell’ombra.
Si muoveva silenziosamente lungo la fiancata della nave, seguendo il suono della distruzione.

Dottor Morse

Dottor Morse

Dunque. Ecco Morse. Ha la faccia di un elegante Vincent Price, il suo aplomb nobiliare e aristocratico. Guardi e vedi mani lunghe e curate. Vedi giacche di elegante fattura. Barba perfetta, nemmeno fosse finta, ancora nera nonostante l’età non più giovanissima. Se lo guardi bene è il diavolo di certe pubblicità, di certi film di una volta. Barba a punta, sopracciglia arcuate. Affascinante, ma lo sai subito che non va bene parlare con lui, che lui non è rispettabile come sembra.
Morse forse è russo, forse no. Forse non viene da nessuna parte. Nella storia non ha origini, però parla russo, ceco, ucraino e comprende l’yddish. Il Diavolo parla molte lingue.
Morse ha molto difetti. Noi li chiamiamo difetti, per lui sono pregi. E’ nato amorale e questo è un vantaggio: quello che può fare non ha limiti e lo dimostrerà. Vuole una cosa, una persona, il mondo? Bene, troverà il modo di prendersela.
Lo vedi, raffinato e aristocratico, profondamente erudito, non capire nulla dei sentimenti umani, perché forse ne ha solo letto nei libri. Ci sono solo lui e il suo Genio. Solo una persona è migliore di lui, andando avanti scopriremo chi è. E lui, visto che non si fa scrupoli, questa persona se l’è presa e l’ha fatta sua.
Morse  studia lo Spettro che è la sua Nemesi. Lo Spettro è moralità, porta giustizia a costo di farsi male. Morse lo guarda e sa di averlo ucciso, così, subito. Eppure eccolo. Il suo negativo. Il suo gemello ectoplasmatico. Entrambi hanno il gusto della teatralità, dello Show.
Morse forse vuol fare paura, Forse vuole solo creare scalpore, perché Morse è avido e la pubblicità è l’anima del commercio.
“Ti avevo già ucciso” potrebbe dire Morse allo Spettro. Ma in questa storia lo Spettro è vivo più che mai e non lascerà mai che il diavolo elegante vinca.
O almeno ci proverà.

“Guerra, signori miei! Non sentite il calore ardente dal suo cuore cannibale? Non sentite la fame della più bella e terribile bestia del mondo?”
L’uomo in nero pare compiaciuto della propria arringa. Passeggia calmo, e i lembi del mantello lo seguono come ali ripiegate di creatura ancestrale. “So che la Guerra è vicina, perché sono io che la sto aiutando a nascere. Verrà al mondo perché le spianerò la strada. Il vincitore è un dettaglio, farà tutto ciò che gli ordinerò. Perché io, Morse, gli fornirò l’arma definitiva!”

Vassilissa Morse

Vassilissa Morse

Vassilissa è la bellissima protagonista di una fiaba, e ne è la più terribile antagonista, la feroce strega Baba Yaga. Come possano due creature così diverse convivere nella stessa persona è un mistero a cui solo il Dottor Morse, che l’ha ‘creata’, potrebbe dare una risposta. Guerriera implacabile, Vassilissa marcia su Londra con la violenza e la determinazione di un esercito. Programmata per uccidere, per distruggere, per compiacere ogni desiderio di annichilimento del suo padre-creatore.  E’la Bella e la Bestia imprigionati nel medesimo incantesimo.

Vassilissa dormiva come immersa nel miele, i capelli come petali di fiori acquatici che ondeggiavano morbidi sul fondo del mare. Morse si assicurava che tutto procedesse per il meglio, che l’erogatore di Morphia funzionasse a dovere, che le ferite passassero dal rosso al rosa e infine si riassorbissero, lasciando la pelle bianca, appena segnata da cicatrici leggere.
Baju bajushki baju. Ne lascisja na craiu, canticchiava il dottore, nella sua lingua. Una ninna-nanna per la sua creatura. Prijdiot serenkij volciok, I ukusit za bociok.
La sua creatura, la sua bambina bellissima, il suo lavoro più riuscito. Una fanciulla che da sola valeva quanto un esercito. Quante cose si potevano fare con un esercito di Vassilisse?

Malachy Murphy

Malachy Murphy

Sergente di Scotland Yard, ha deciso di dedicare la propria vita alla cattura dello Spettro di Nebbia dal giorno in cui quest’ultimo causò il fatale incidente che gli fece perdere il braccio. I colleghi lo hanno soprannominato l’Automa, e non a caso: la Morphia da cui è dipendente lenisce il dolore che l’arto meccanico gli procura, ma annulla anche quelle infinite sfumature di emotività e empatia che fanno di un essere umano ciò che è.  Un uomo che ha fatto del proprio tormento interiore la propria identità, eppure c’è qualcosa in fondo ai suoi occhi che palpita e brucia e lotta per emergere contro ogni annichilimento.

Sarebbe intervenuto sul dolore solo quando questo avesse superato la soglia.La soglia di Malachy era molto ben definita. Oltre quella, il dolore diventava incandescente. Ma non solo.Oltre la soglia, la sua soglia, il braccio mozzato ricompariva, ed era fatto di acido e lamette da barba, di carne viva passata al tritacarne, con aggiunta di gocce di veleno e schegge di vetro. Oltre la spalla c’era questo braccio che non riconosceva, pallido come l’arto di una creatura abissale, la carne simile a latte annacquato, la pelle translucida come ali di falena controluce. Sotto, fasci muscolari appena più scuri del bianco spettrale, e ossa argentate fatte di una lega mai inventata di vetro, acciaio e avorio.Quando Malachy Murphy ‘vedeva’ tutto questo, significava che la soglia era stata oltrepassata.

Malachy Murphy

Mordecai Gerolamus

Un uomo, poco più che un ragazzo, senza un passato, in bilico tra due mondi. O forse molti di più. Mordecai è un tagliatore di diamanti, il migliore della Gilda di Clerkenwell. Lui guarda un diamante grezzo e vede ‘bellezza’ e ‘perfezione’. Lui vede molte cose, più di quante i suoi occhi innocenti possano ammettere.

Mordecai Gerolamus guardava la macchina e pensava: Meshuga! Guardava Rosen, il Mastro Tagliatore e ripeteva: Meshuga!
Rosen lo ignorava, come faceva sempre.
“Una macchina non può sapere come si tagliano i diamanti! Meshuga!”
Rosen, in piedi di fronte a un muro di lucciole e perline, non sollevò lo sguardo dal pannello di controllo.
“Boychik, tu non sai nulla di Macchine delle Differenze. Questa meraviglia ci risparmierà tanti grattacapi in futuro. Tante notti insonni, tante discussioni!”
Mordecai Gerolamus guardò la sua immagine riflessa negli schermi ovali retroilluminati posizionati ad altezza uomo, che lui si ostinava a considerare ‘occhi’: “Nessuna macchina può dirti come tagliare un diamante. Rovinerete la gemma.”

Catherine ‘Orlando’ Swan

Catherine ‘Orlando’ Swan

Un mondo nuovo ha bisogno di nuovi eroi. E anche di nuove eroine. Catherine Swan non sa se ne ha la stoffa, ma il senso di giustizia in lei eguaglia solo la sua inesauribile curiosità. Giornalista d’assalto, dedita alla cronaca più nera della più nera tra le città, impugna la penna non solo per aprire gli occhi al mondo sui fatti, ma anche per raddrizzare i torti, denunciare i soprusi e assicurare i ‘cattivi’ alla giustizia. Già. Però a volte non è facile capire da che parte stare. Chi siano i veri ‘cattivi’. E poi c’è quel dannato Sergente, con quel suo sguardo malinconico, che riesce a farla tremare di paura, e forse non solo quella…

Catherine Swan aveva scoperto che firmare i propri articoli con lo pseudonimo di Orlando le consentiva di abbandonarsi con una certa dovizia di particolari a tutti quei dettagli truculenti e sanguinosi che tanto attiravano l’attenzione dei lettori. Se non avesse adottato quello stratagemma, i suoi stessi ammiratori e soprattutto le sue ammiratrici, che erano davvero numerose, le si sarebbero rivoltati contro. Per qualche strano motivo i lettori della Mayfair Gazette non vedevano nulla di male nel crogiolarsi nel sangue e nell’orrore di tragedie altrui, ma mai avrebbero tollerato che una donna profanasse la soavità del proprio sesso sporcandosi le mani nello scrivere certe cose.
Ma Catherine-Orlando faceva molto di più. Travestirsi da uomo le permetteva di recarsi in luoghi preclusi a qualsiasi donna, anche la meno rispettabile, e indagare in prima persona sui crimini dei quali doveva scrivere. Bastavano un paio di pantaloni e un cappello calato sugli occhi e le porte dell’inferno si spalancavano… o almeno si socchiudevano, permettendole di sgusciare dentro a dare un’occhiata. In certi casi era pericoloso, come suo fratello Percyval non mancava di ribadire con una frequenza sconcertante, se si considerava quanto i suoi articoli facessero vendere la Gazette. Sì, decisamente pericoloso, ma anche così eccitante!