Lo Spettro di Nebbia
Lo Spettro era assenza. Assenza di espressione, il volto che scompariva dietro il metallo decorato con spirali e ghirigori, a metà tra il feticcio africano e la ieratica e terribile vacuità delle maschere veneziane. Assenza di gravità, perché, a dispetto dell’altezza e dell’imponenza, si muoveva con leggerezza sconcertante e senza rumore, come le falene che accompagnavano la sua venuta. Si diceva che sotto gli abiti neri indossasse una corazza, o addirittura che il suo corpo fosse fatto d’acciaio. Più di un testimone giurava di averlo visto rialzarsi dopo essere stato crivellato da colpi di pistola, dardi e perfino fendenti di spada, come se niente fosse accaduto. E ciononostante riusciva a volare da un tetto all’altro, scalare le pareti come una lucertola, col solo ausilio delle mani, agile e silenzioso come un refolo di vento.
Assenza di umanità, perché in molti erano convinti che non fosse un uomo, che sotto le pieghe del mantello non vi fosse che metallo coperto da metallo, uno scheletro d’acciaio rivestito di cavi lubrificati da pompe oleose, agitato dalla mano di un abile giocattolaio nascosto nell’ombra.
Si muoveva silenziosamente lungo la fiancata della nave, seguendo il suono della distruzione.