Recensione Anteprima “VICTORIAN SOLSTICE” di Federica Soprani e Vittoria Corella a cura di Alessia Cerbara
Londra 1890: Babele, Gran Forno, Inferno e Paradiso. Capitale del Mondo Occidentale. Dai fasti di Buckingham Palace al Popolo del Sottosuolo, passando per lo sfavillante mondo della potente borghesia in ascesa. Delitti, intrighi, passioni, amore e morte. Il Crepuscolo di un’epoca, l’agonia del Lungo Ottocento che ha ormai perso la sua innocenza.
Jericho è un medium dei bei salotti. Jonas un investigatore che non crede nel paranormale.
Nella Londra Vittoriana l’Uomo Nero esiste davvero. I Mostri sono reali e hanno fame.
Per sconfiggerli ci vuole coraggio, follia e un pizzico di disperazione.
Dai bordelli per ricchi annoiati ai misteri della Londra sotterranea, dalla casa del vizio più pericolosa del West End, agli orrori di Whitechapel, un viaggio da incubo che parte dai sobborghi più infimi per salire su, fino a sfiorare la Corona D’Inghilterra.
Una detective story vittoriana oscura e sensuale.
Ho appena finito di leggere questa avvincente serie poliziesca vittoriana e non posso far altro che parlarne subito, per non perdere nemmeno un dettaglio della miriade di emozioni provate e che ho ancora addosso: sensazioni che mi hanno accarezzato e graffiato l’anima al contempo.
Questo libro è un vero e proprio pugno nello stomaco che ti colpisce e ti lascia stupita e dolorante per tutto il tempo della lettura, come se rimanesse sempre lì e, pagina dopo pagina, ti entrasse sempre un pizzico di più dentro. A volte con meno pressione, permettendoti di tornare a respirare e sperare nel futuro, altre affondando di più nella carne fino a prendere il cuore e a stritolarlo tanto da sentire un dolore cupo che gela da dentro tutto il tuo essere. I temi trattati e il modo in cui vengono affrontati lasciano attoniti e senza forze tanto da far vacillare anche la speranza: in alcuni casi la coperta che ci viene offerta scalda come il più amorevole degli abbracci, ma talvolta, a dir la verità forse anche più spesso, si è schiaffeggiati come in preda alla punizione più cruenta e crudele.
I nostri carnefici, capaci di redimerci o condannarci, sono sempre loro, i protagonisti e i vari personaggi che incontrano sulla loro strada: le autrici sono minuziosamente dettagliate nel presentarceli, sia nei tratti somatici che caratteriali, e mentre li si vive, li si ha davanti agli occhi e dentro l’anima. Sono foto in 3D che si delineano davanti a noi come mosse da piccoli fili impercettibili agli occhi, raccontando la storia che viviamo con loro, passo dopo passo.
Marionette con cui le mani sapienti delle burattinaie giocano, facendoceli amare o detestare a loro piacimento. Il loro nomi e molteplici soprannomi, sono ricercati ed evocativi e, in alcuni casi, lasciano stupiti per quanto significativi.
Le ambientazioni sono universi incredibili che ci si snodano dinnanzi in modo talmente particolareggiato che sembra di essere nel libro e, come per i protagonisti, hanno nomi carichi dell’emozione che restituiscono.
Tanto i personaggi, quanto i luoghi, riescono a sprigionare una costellazione di sentimenti contrastanti: per alcuni è istintiva la simpatia e il piacere di trovarcisi, per altri, livore, sdegno e sensazione di sentirsi un pesce fuor d’acqua sono quasi istantanei. Le autrici, già solo per questo, meritano i miei complimenti più sinceri.
La storia, raccontata in terza persona e ricca di discorsi diretti, mantiene viva un’attenzione già di per sé sempre vigile su ciò che è accaduto ma, soprattutto, riguardo cosa sta per succedere o si spera avvenga. E’ un intreccio ben congegnato di storie nella storia, come detto prima, sembra una matrioska cui non si riesce mai a scoprire il cuore. Quando si pensa di aver compreso e che la soluzione sia dietro l’angolo, ecco che le autrici rimescolano le carte e si torna a giocare; è un’altalena di emozioni da cui non si vuole né si riesce a scendere. La trama è interessante, rapisce e colpisce, spesso nell’intimo, lasciando dietro sé desolazione e senso di smarrimento ma fornisce, anche, vie di fuga che leniscono e fanno sperare in una redenzione più che meritata. Sono sincera, in alcune occasioni ho sofferto particolarmente e il balsamo offerto dalle scrittrici ha avuto un vero e proprio effetto benefico e ristoratore.
L’amicizia, l’amore declinato in ogni sua forma e dimostrazione, la fiducia nel prossimo ma, soprattutto in sé stessi, gli intrighi, i sotterfugi, la felicità, il dolore, il degrado, il vilipendio dei corpi, lo stupro, la perversione, la fame, l’opulenza, la tortura psicologica e fisica, il sesso nudo e crudo, la pedofilia, l’esacerbazione del rancore che conduce alla vendetta, l’assassinio, c’è tutto in questo libro, e tutto fa male e riflettere al contempo. C’è un rapporto che nasce da una sfiducia professionale e che diventerà, via via, sempre più intimo e il modo in cui viene snocciolato è qualcosa di sublime al palato, accarezza l’anima mentre la fa sanguinare. C’è la bontà dei puri di cuore per i quali nulla sarà mai un vero ostacolo, inattaccabili da nulla e nessuno, i veri vincenti nella vita ma che soffrono dolorosamente perché provano ogni minima sofferenza dell’altro e la fanno propria, per loro il lieto fine ci sarà sempre e comunque e saranno in grado di farlo vedere e provare anche al più scettico. C’è l’assenza genitoriale, madre di tutti i mali, che mina dall’interno e rende gusci vuoti come fantocci che solo il calore di un amore puro e sincero saprà colmare.
Descrivere tutte le sensazioni provate è davvero complicato.
Vi basti sapere che ho pianto, ho riso, mi sono arrabbiata e ho sofferto ma lo rifarei perché il messaggio finale che resta è un messaggio di speranza, è un sublime inno all’amore: perché l’amore vince sempre.
“L’amore conduce alla follia e la follia è solo un’altra faccia dell’amore”
Siamo ciò che resta dell’amore e possiamo soccombere o risalire la china, magari a mani nude, sporcandoci, rompendoci le unghie, sanguinando, ma, pur sempre, risorgendo.
Il fine è ciò che conta, il resto è viaggio, desolante o benefico che sia, ma che porterà all’approdo, al porto sicuro e che farà tornare il sorriso negli occhi, oltre che sulla bocca.
La luce della speranza che scaccia il buio della tempesta del passato e che fa risorgere dalle ceneri più scure che attanagliano, questo ci arriva con solo quattro semplici e significative parole: “Sei tornato da me”. “Sei tornato da me” per andar via, “Sei tornato da me” per ricominciare, “Sei tornato da me” per restare. C’è tanto, forse tutto, e io non lo dimentico questo romanzo, no! Lo consiglio vivamente a tutti, con la sola postilla di aprire la mente e accoglierlo senza pregiudizi né preconcetti perché farà male, sì, non lo nego, ma ciò che non uccide, fortifica e permette di guardare avanti con fiducia. Il male ferisce, ma il bene lenisce e della ferita resterà solo un impercettibile segno bianco che sarà da monito, certo, ma non da scudo dietro cui nascondersi né spada con cui attaccare. Sarà ricordo da incamerare, cui non permettere di avvelenare il proprio futuro, ma da cui imparare per affrontarlo con positività e quel pizzico di follia che va a braccetto con la fiducia e che, sinceramente, non guasta davvero mai.